I ceciaroli sono una specie di ravioli fritti, imbottiti di una crema di ceci e cacao. È un dolce tipico di Vignallo e altri paesi limitrofi. Per il ripieno ci vogliono 8 etti di ceci crudi, lessati e passati, 400 grammi di miele, una scatola di cacao, 300 grammi di zucchero, una bustina di cannella e un bicchierino di liquore a piacere. Si tengono i ceci a bagno per una nottata, si lessano in acqua appena salata e quando sono colli si passano nel passaverdure. Quindi si impasta la crema di ceci con il miele, il cacao, lo zucchero, la bustina di cannella e un bicchierino di acquavite o altro liquore disponibile. Il morbido impasto cioccolatoso deve riposare per una giornata intera. E prepariamo la pasta. Ci vogliono 400 grammi di farina, due bicchieri di vino, un bicchiere d'olio, e una puntina di bicarbonato. Si dispone la farina a fontana sulla spianatora e vi si versano l'olio, il vino e la puntina di bicarbonato. Si lavora la pasta, si stende una sfoglia sottile e la si ritaglia a strisce larghe una quindicina di centimetri. Sulle strisce di pasta si mettono delle cucchiaiate di ripieno alla distanza di dieci centimetri l'una dall'altra, si ripiega quindi la striscia di pasta su se stessa fino a far coincidere i bordi e con una rotellina si ritagliano dei ravioli a forma di mezzaluna. A questo punto sono pronti per essere fritti in padella (ma c'è chi preferisce cuocerli in forno). Si servono, caldi o freddi, spolverizzati con zucchero a velo.
La pizza dolce è il clou del giorno di Pasqua. La pizza dolce di Vignanello e dintorni merita di essere ricordata, per la sua soffice consistenza e per la soavità dei suoi aromi. Riporto quasi integralmente la ricetta di Italo Arieti, perché spiega benissimo una ricetta che non è di semplice. Voglio solo precisare che le dosi indicate dall'Arieti sono quelle che si usavano un tempo per fare tante pizze da distribuire ai parenti o da regalare agli amici. E quindi per fare in casa soltanto una o due pizze dolci bisogna ridurre le dosi in proporzione. "Ingredienti: 4 chili di farina, 24 uova, 1 chilo e 600 grammi di zucchero, 200 ml di liquori misti da dolci, 3-4 bustine di cannella, 300 grammi di strutto (o burro o olio), 2 bustine di vaniglia, buccia grattugiata di limoni e arance, 200 grammi di lievito di birra. Si scioglie il lievito di birra in acqua tiepida e si aggiunge poi a poco a poco un chilogrammo di farina, fino a formare una palla molto morbida, tipo pastella, che va messa a lievitare per alcune ore (circa 12). A lievitazione avvenuta, dentro un grosso recipiente di "coccio", o sulla spianatoia quando si tratta di dosi ridotte, si incorporano a questa pasta lievitata tutti gli altri ingredienti (esclusi i liquori), impastando continuamente con un mestolo fino ad arrivare, dopo alcune ore di faticosa lavorazione, alla formazione di una grossa massa di pasta omogenea, di consistenza simile alla pasta del pane. I liquori vanno aggiunti con molta cautela, facendoli cioè scorrere in piccola quantità lungo il recipiente mettendoli a contatto con l'impasto sempre protetto da uno strato esterno di farina, per evitare la cosiddetta cottura della pasta. Si preparano allora i vari tegami a bordo molto alto, ungendoli internamente con lo strutto, e vi si depone all'interno una quantità di pasta tale da raggiungere la metà dell'altezza del tegame. Si lascia quindi lievitare per alcune ore in un ambiente tiepido, a temperatura costante (una volta si usava la madia), fino a quando la pasta non raggiunge il bordo superiore del recipiente. Si bagna lo strato superiore con un pennello imbevuto di uova sbattute e si mette tutto al forno. All'interno di questo, durarne la cottura, si avrà un ulteriore accrescimento della pasta che supererà così il bordo del tegame, facendo assumere alla pizza il caratteristico aspetto a fungo, con il cappello di un bel colore marrone scuro, lucido." Arieti aggiunge che in tutta la Tuscia esistono molte varianti nel dosaggio degli ingredienti. In alcune ricette ci sono più uova, in altre più burro, in altre varia la quantità di cannella. Insomma, conclude Arieti, "forse ogni famiglia aveva una sua ricetta segreta". Il segreto di nonna Angelina? Non lo conosco, se l'è portato via con sé. So soltanto che a casa nostra s'è sempre usato l'alchermes come liquore. E grazie all'alchermes, appena tagli la prima fetta, ravvolge un profumo sontuoso, che sa di cannella, vaniglia, coriandolo, chiodo di garofano, fiori d'anice, cardamomo e acqua di rose.
Le frappe sono dolci tipici del giovedì grasso. Si fanno in tutt'Italia con poche varianti e si chiamano in molti modi: "cenci", "donzelle", "chiacchiere", "bugie", "nastri di suore", "nodi d'amore"... Noi le facciamo così: Ci vogliono: 500 grammi di farina, 30 grammi di strutto (o di burro), 2 tuorli e un uovo intero, un cucchiaino di zucchero, un pizzico di sale e un po' di vino bianco. Poi ci vuole l'olio per friggere e tanto zucchero a velo per imbiancare le frappe dopo la frittura. Ed ecco la preparazione. Si dispone la farina a fontana sulla spianatora, si versano insieme lo strutto, i tuorli d'uovo, l'uovo intero, lo zucchero, il sale e il vino bianco e si lavora il tutto come quando si fa la pasta all'uovo per le fettuccine. Se ne fa una palla e la si lascia lievitare coperta da un panno per mezz'ora. Poi, sulla spianatora leggermente infarinata, si stende la pasta e si fa una sfoglia molto sottile. Con una rotella seghettata si ritaglia la pasta. A mia nonna piaceva dare forme diverse alle frappe. Le faceva lunghe e strette, a triangolo, romboidali, a nodo. Insomma non seguiva un modello, ma il suo estro. Una volta ritagliate, le frappe vanno fritte in abbondante olio d'oliva, finché non assumono un colore dorato. Si dispongono su carta assorbente per togliere l'unto superfluo e si servono su un vassoio, generosamente rivestite di zucchero. Calde o fredde sono ugualmente buone.
Appena si sete l’odore del carnevale, viene voglia di fare le castagnole, che a Vignanello chiamano anche strufoli o struffoli. Ci vogliono 450 grammi i farina, uova, 100 grammi di zucchero, un cucchiaio di zucchero vanigliato, una bustina di lievito per dolci, un pizzico di sale, 50 grammi di burro, vino bianco secco, zucchero vanigliato q.b. e l'olio necessario per friggere. Si fa una pasta con la farina, le uova, lo zucchero, lo zucchero vanigliato, il lievito, il sale e il burro ammorbidito, aggiungendo vino bianco quanto basta per avere una pasta né troppo dura né troppo molle. Per una decina di minuti si lavora la pasta con "l'olio di gomito" e poi la si divide in piccole porzioni. Se ne prende una alla volta e si fa scorrere la pasta sotto le mani per formare dei serpentelli della grossezza di un dito. Ogni serpentello si taglia poi a pezzetti di un paio di centimetri e se ne fanno tante palline, che si mettono a friggere in abbondante olio (devono galleggiare!). Si girano e rigirano fino a quando non appariranno gonfie e dorate. Si tirano su con la schiumaiola, si lasciano sulla carta assorbente per togliere l'unto superfluo e si spolverizzano con zucchero. Al composto si possono aggiungere alchermes o rum. Altri spruzzano il liquore sulle castagnole dopo la frittura e prima di vestirle con lo zucchero. Sono buone calde o fredde.
Questa pizza è tipica di Vignanello, Soriano e altri paesi della Tuscia, ma è diffusa anche in Umbria (famosa quella di Terni). Si chiama "pizza" ma è alta come un panettone. La pizza al formaggio pecorino, come il pamparito e la pizza suale, nasce per accompagnare gli antipasti pasquali, ma è buona a tutto pasto: può senz’altro sostituire il pane con le frittate di asparagi di campo o di cicoria, i piatti di carne, eccetera. E' di difficile esecuzione, ma sono in vendita prodotti artigianali di ottima qualità, basta cercarli. Per questa ricetta, seguo, per comodità e con rispetto, la traccia di Italo Arieti, Con una avvertenza: le dosi valgono per più pizze, ma volendo si possono ridurre in proporzione. Ci vogliono: 13 uova, un bicchiere di latte, 300 grammi di formaggio pecorino, un bicchiere d'olio, 400 grammi di lievito di birra, 50 grammi di sale, un cucchiaino e mezzo di pepe e almeno un chilo e mezzo di farina. Con un chilogrammo di farina e 300 grammi di lievito di birra sciolto in acqua tiepida si fa una palla di pasta che va poi lasciata a lievitare per alcune ore. Successivamente, in un grande recipiente di coccio, si uniscono alla pasta lievitata: le uova sbattute a parte, un bicchiere d'olio d'oliva, un bicchiere di latte, il sale, il formaggio pecorino in parte grattugiato e in parte a piccolissimi pezzetti, il pepe macinato al momento, il restante lievito di birra e tanta farina quanta ne serve per fare un impasto della consistenza della pasta per il pane. A questo punto si prendono dei tegami a bordo alto, si ungono all'interno con lo strutto e si riempiono di pasta fino a metà altezza. Per consentire la lievitazione si ripongono in un ambiente con temperatura tiepida e al riparo dalle correnti d'aria (una volta si mettevano nella madia!). Dopo un'ora - un'ora e mezza, la pasta è lievitata e ha raggiunto l'orlo superiore del tegame. È il momento di mettere le pizze nel forno a legna o in un forno preriscaldato a 200 gradi. La cottura dura un’ora circa, fino a quando la superficie non è ben dorata. La pizza al formaggio si toglie dallo stampo quando è fredda.